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Economia lunedì 15 luglio 2024 ore 16:39

Crescono export e turismo ma la moda ha il segno meno

Il rapporto Irpet mette nero su bianco l'andamento dell'economia toscana: crescita stabile ma contenuta. In aumento Pil e occupazione



TOSCANA — Una crescita stabile, anche se ad un ritmo contenuto. E' quanto emerge dal rapporto Irpet dal titolo ‘Fattori di vulnerabilità e velocità di crescita: che accadrà all’economia toscana?’ presentato oggi a Palazzo Strozzi Sacrati e che mette nero su bianco l'andamento dell'economia in Toscana.

Iniziamo dal Pil della Toscana, che nel 2023 è aumentato dello 0,7% e chem stando alle previsioni, crescerà ancora nei prossimi anni, anche se lentamente: +0,8% nel 2024 e 2025, +1,2% nel 2026. Dati che si posizionano in linea con quelli nazionali.

Il rapporto evidenzia una crescita con velocità diverse. Il turismo, ad esempio, ha visto un aumento delle presenze straniere (+17,6%) e dei pernottamenti complessivi (+8,8%), con una crescita dei mercati extra europei e delle strutture extra alberghiere. Le presenze sono tornate ai livelli del 2019, con la componente straniera a far da traino. Andamento opposto per l’industria: il calo dell’indice di produzione nel 2023 è stato del 3,3% (2,1% in Italia) e nel primo trimestre 2024 del 4,9% (3,5% in Italia), un dato imputabile all’andamento negativo del comparto moda, specialmente nei settori pelletteria, cuoio e calzature.

Segno più per le esportazioni, per per il 2023 segnano un aumento del 3,3, in salita nel 2024 (+6,3), in controtendenza con i dati nazionali che segnano rispettivamente un -1,4 e un -1,9 e con un trend superiore a quasi tutte le altre regioni italiane con una maggior vocazione all’export.  A trainare il settore in Toscana sono però solo alcuni rami come la gioielleria, la farmaceutica, i macchinari e l’agroalimentare, che controbilanciano il saldo negativo registrato dall'industria della pelle, calzature e filati e tessuti.

Dando poi uno sguardo al mercato del lavoro, anche qui la Toscana continua a crescere, nonostante il calo della popolazione in età lavorativa. I dati snocciolati dal rapporto per il 2023 parlano di un tasso di attività che tocca il 73,3% (nel 2019 era del 71,8%). Cresce anche il tasso di occupazione, che passa dal 66,8% al 69,3%, mentre quello di disoccupazione scende dal 6,9% al 5,4%.  Dal post pandemia il numero di dipendenti è sempre cresciuto: nel 2023 si è passati a +38 mila unità rispetto al 2022 e a +119 mila unità rispetto al 2019. Nel primo trimestre 2024 analogo trend seppur in rallentamento, soprattutto nella manifattura ed in particolare nella moda. Se diamo un’occhiata al numero di lavoratori con ammortizzatori sociali in rapporto agli addetti medi mensili, nell’ultimo trimestre 2023 sale e resta sopra 2,5 ogni 100 nel primo trimestre 2024. Nei comparti moda si arriva a 6 su 100 e a 10 su 100 nella lavorazione della pelle.

Rispetto al 2022 è scesa la percentuale di coloro che considerano la propria famiglia povera o molto povera (dal 16% all’11%) così come sono meno coloro che affermano di arrivare con difficoltà o grande difficoltà a fine mese (dal 60% al 40%). Salgono dal 40 al 44% le  famiglie che riescono a gestire con relativa facilità le spese mensili, dal 40 al 44%.  Tuttavia un toscano su due non è ancora completamente soddisfatto della gestione del proprio bilancio familiare, mentre uno su sei non saprebbe far fronte a una spesa imprevista di 800 euro. Tra i toscani, sempre secondo il rapporto Irpet, prevalgono coloro che prevedono un peggioramento delle prospettive del proprio tenore di vita.

L'indagine stila poi una serie di fattori che, nei prossimi anni, potrebbero influire sul sistema economico e sociale toscano. 

Il primo è la dipendenza del sistema produttivo dall’esterno: circa il 65% del valore aggiunto generato in Toscana dalla produzione di beni, servizi esclusi, è attivato da domanda estera; si sale al 93% se consideriamo anche la domanda che proviene da altre regioni italiane. Quindi solo 7 euro ogni 100 di valore aggiunto generato dal nostro sistema manifatturiero, quando produciamo beni e non anche servizi, è attivato dalla domanda dei toscani. Se a questo aggiungiamo che la domanda straniera dipende per una buona quota da paesi abbastanza distanti, e non solo geograficamente (Cina, Russia), il rischio di vulnerabilità cresce. E lo fa anche riguardo all’approvvigionamento di alcuni input produttivi, in particolare per tre filiere importanti come la moda, la farmaceutica e la produzione di macchinari.

Il secondo riguarda il declino demografico ed i riflessi sul mercato del lavoro e, nello specifico, per l’incontro tra domanda e offerta. Dal rapporto tra la popolazione 60-69 anni (in uscita dal mercato del lavoro) e quella in età 20-29 anni (in entrata) notiamo che se nel 1993 c’erano 88 anziani per 100 giovani, nel 2023 si passa a 143 anziani ogni 100 giovani e a 170 anziani ogni 100 giovani nel 2033. Con impatti diversi a seconda delle aree. Oggi in alcuni sistemi locali la domanda di lavoro prevale sull’offerta e il potenziale mismatch è corretto grazie ai flussi di movimenti pendolari e dall’immigrazione. Ma nel futuro questo rischia di andare fuori controllo. Secondo lo studio nei prossimi dieci anni nel 60% delle unità locali le uscite per pensionamenti non troveranno un corrispondente potenziale flusso in ingresso fra i 20-29enni.

Il terzo prende in considerazione la relazione tra occupazione, salari e produttività e mette in evidenza un sistema produttivo che non è riuscito a valorizzare adeguatamente la loro crescita. Se ad esempio osserviamo il rapporto tra occupazione e salari emerge un concentrazione agli estremi con una crescita dei lavoratori nei livelli reddituali più bassi (+3%) e in quelli più alti (+2%). In quelli intermedi la diminuzione è stata del 5%. In sostanza la questione salariale sembra soprattutto associata ad una lentezza nella dinamica della produttività, il cui rilancio diventa fondamentale per consolidare la crescita ed evitare che aumenti la distanza nelle retribuzioni pro capite rispetto ad altri paesi. I salari sono maggiori nelle imprese più produttive, in quelle che esportano, nelle medie e grandi aziende, nella manifattura, ma le medesime casistiche non sono necessariamente quelle in cui l’occupazione è sempre cresciuta di più

Infine, quarto e ultimo, la spesa sanitaria. La crescita stabile ma lenta, rischia di compromettere nel lungo termine la sostenibilità finanziaria del nostro welfare, di cui uno dei principali comparti è la sanità. Quella toscana è molto esposta al rischio dato che il modello poggia sull’erogazione delle prestazioni da parte dei soggetti pubblici. Infatti è una delle regioni con più alta spesa per il personale di ruolo (597 euro pro capite), una minore spesa nei servizi prevalentemente erogati dalla medicina/farmaceutica convenzionata e/o privata (717 euro). Inoltre è consistente la quota di investimenti per ristrutturazione o realizzazione di strutture ospedaliere, con peso importante sui bilanci in termini di interessi sui mutui contratti. Le previsioni sui tassi di crescita in termini reali del Fondo sanitario nazionale, incorporate nel DEF, rischiano di aprire una divaricazione difficile da governare fra la domanda e l’offerta di prestazioni.


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