Senza una Retta Visione l’Uomo è un automa
di Adolfo Santoro - sabato 20 dicembre 2025 ore 08:00

Il Retto Pensiero per Buddha è una conseguenza della Retta Visione. Risvegliarsi significa allora attivare in sé l'io immaginativo, proprio della Retta Visione, cioè la funzione originaria del Sé. Obbligarci al Retto Pensiero senza la Retta Visione è un modo di dividere il sé: viene cioè attivata, in maniera mascherata, la funzione del Giudice Interiore severo e la continua azione di questo tipo di Giudice interiore genera la paralisi emotiva che si ha nella depressione, che, sotto certi aspetti, esprime la resistenza a diventare un automa. Per recuperare l’interezza dell’essere nella Retta Visione bisogna accettare la propria parte cattiva senza agirla ed integrarla in sé: il suo confinamento nell'immaginazione apre alla consapevolezza della propria capacità di controllo dell’interiorità, apre alla fiducia in se stesso.
Nel Nobile Ottuplice Sentiero la Retta Visione (sammā-diṭṭhi) viene per prima del Retto Pensiero/Intenzione (sammā-saṅkappa): nel buddhismo non si pensa rettamente per sforzo morale, ma perché si vede in modo diverso: vedere i pensieri come pensieri. Fondarsi sulla visione dell’impermanenza, della sofferenza, del non-sé, attiva il cambiamento continuo e disgela il pensiero, che può allora riorientarsi spontaneamente.
All’interno della rigida distinzione tra maschile e femminile il Giudice interiore diventa così un paternalismo travestito da spiritualità, che reprime stati mentali non compresi e sanziona moralisticamente i comportamenti non allineati al controllo morale. Ne conseguono scissione, irrigidimento, depressione.
La Retta Visione apre invece ad uno spazio simbolico consapevole, dove gli impulsi possono apparire senza essere agiti, grazie al contesto della consapevolezza (sati) e dello spazio mentale stabile (samadhi).
Accettare la propria parte cattiva senza agirla è non-repressione, non-azione impulsiva, non-identificazione. Non è indulgenza, non è rimozione; è contenimento consapevole.
Il suo confinamento nell’immaginazione apre alla consapevolezza della capacità di controllo dell’interiorità: la fiducia nasce non dal sentirsi puri, ma dal vedere che anche l’ombra può essere attraversata senza dominarci. Questo genera vera fiducia(saddhā), non moralismo: l’esperienza è osservata direttamente, le cause sono comprese, è intuita la natura impermanente e non-sostanziale dei fenomeni.
Il Retto Pensiero non s’inaridisce in un comando o in un comandamento, come avviene nelle religioni monoteiste, ma si esprime come effetto collaterale della comprensione. Dove c’è giudizio rigido, non c’è ancora visione. Dove l’ombra è vista e contenuta, nasce fiducia e unità.
L’immaginazione può così diventare uno spazio di contenimento, un ponte psicologico verso il il contatto diretto, non simbolico. Verità e realtà possono così, inizialmente e finalmente, coincidere.
Adolfo Santoro








