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martedì 08 ottobre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

L'Annina

di Marco Celati - martedì 16 luglio 2019 ore 07:30

Nel bar del lungarno l’Annina si tirò sulle punte, appoggiò i talloni alla parete e si guardò nello specchio dietro il banco. Capelli ricci, castani, seno, bella figura. Se fossi più alta, sarei un topone, disse ad alta voce, padroneggiando la scena e la consecutio temporum. Se la mi’ nonna aveva le rote, era un carretto, buttò lì il suo ragazzo, sciatto di presenza e di parola. Bevvero il caffè e se ne andarono ognuno per conto suo. Era estate. L’Annina a me ricordava una poesia di Caproni, dedicata a sua madre giovane. E un’altra che Caproni scrisse alla moglie Rina. Rina si chiamava anche la mia povera mamma. Si dice così: povera, di chi è morta, specie se giovane come lei. L’Annina piaceva a tanti, era piccola, graziosa e sexy. C’era tutta, come si usa dire. Col suo ragazzo poi si lasciarono, non credo c’entrasse la consecutio temporum o forse sì, nel senso del susseguirsi del tempo, che se ne va con le stagioni e con gli amori. Se li porta via. “Odio l’estate”, cantava Bruno Martino e cantava anche “E la chiamano estate, questa estate, senza te”, il testo era di Franco Califano. La vampa di agosto finì di affogare quella lunga estate calda. Si boccheggiava e la sera si ritrovava un po’ di respiro alle Lucine, il circolo della Richard Ginori, dove faceva notte l’indolente gioventù pisana. Era il 1968. Non avevamo nemmeno vent’anni. E quegli anni, quel tempo, quell’estate ci sembravano nostri, ci appartenevano. Eravamo rivoluzionari e avremmo cambiato tutto. Aspettavamo l’autunno però. Ora faceva troppo caldo per una rivoluzione. Le rivoluzioni vengono meglio d’autunno, magari in ottobre. Lo insegna anche la storia. D’estate vengono meglio altre passioni.

Con l’Annina si andò a Marina qualche volta, alle dighe, le scogliere parallele alla costa, messe lì inutilmente per cercare di frenare l’erosione delle spiagge che le mareggiate d’inverno ogni anno inesorabilmente si portavano via. Sparivano a poco a poco, come la nostra giovinezza e i miei capelli. Forse in un futuro remoto Pisa tornerà ad essere di nuovo una repubblica marinara e ci prenderemo la rivincita su Genova alla Meloria, dicevamo. Dal bagno Gorgona, dove c’era la lapide di D’Annunzio e della Duse, le raggiungevamo, le dighe, e stavamo sdraiati al sole accomodandoci sugli scogli come lucertole. Poi facevamo il bagno dalla parte del mare aperto, dove non si tocca, e io mi pigliavo delle confidenze perché nessuno ci vedeva e noi nessuno vedevamo. Le prendevo la vita con la scusa di sorreggerla in acqua e ci strofinavamo un po’, muovendoci per restare a galla. Ridevamo, eravamo giovani, liberi e chissà se felici. Ma ci bastava. Poi, asciugandoci al sole, a volte ci tenevamo la mano e ci furono anche un po’ di sbaciucchiamenti. La brezza marina mitigava la calura e i nostri ardori. Ma non ci fu altro, nessuno dei due aveva voglia di fare di più, andava bene così, essersi incontrati e piaciuti e pensare che avrebbe potuto essere bello soltanto ad averlo voluto. Non volevamo sciupare quell’estate, guastare quell’attesa di novità e di futuro. L’Annina, volete scherzare?

Non l’abbiamo mai detto a nessuno e nessuno sapeva. Nemmeno gli amici che forse avranno pure capito, ma rispettavano il nostro riserbo. Così conservammo un segreto per sempre, un segreto di niente e di tutto, come le cose che non sono state e avrebbero potuto essere, come ciò che non è mai successo e avrebbe potuto accadere. Come l’aspettativa che abbiamo per la vita e l’amore. E se ora ne parlo anche senza sapere dell’Annina, se vive ancora e spero di sì e come vive e spero bene, è perché tantissimo tempo è passato e il tempo fa velo ai rimpianti. E forse era proprio quello che volevamo: meglio un rimpianto struggente di un cattivo ricordo. Quante persone si sono perse, quante promesse non sono state mantenute, quante attese disattese. Perfino la rivoluzione che aspettavamo è divampata in Europa e nel mondo e si è dissolta nel tempo, lasciando tracce di sé. Non so se abbiamo cambiato il mondo, di certo il mondo ha cambiato noi, che siamo rimasti inadatti, inadeguati alla vita. Tutto è passato, ma così non è stato per la nostra storia senza storia. Senza il tempo e senza la vita a corromperla, resiste al disonore del vero.

Pontedera, 29 Giugno 2019

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Il racconto è inventato. Nella foto ritoccata, mia madre, Rina.

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati