Chissàdove
di Marco Celati - lunedì 23 aprile 2018 ore 08:30
Tutti questi anni, che fanno quasi una vita. Dopo quasi una vita arrivano accenni di risposte a domande dimenticate. O così credevamo. Sono presunzioni di verità e menzogne inconfessabili, soltanto ciò che a malapena siamo stati, non chi o cosa volevamo essere. E che siamo spettatori o attori faustiani o shakespeariani, ci attende il nulla. Non è tutto questo granché, ma è questo granché che è tutto.
Le vite si incrociano e si confondono, si somigliano tutte e nessuna è uguale a un’altra. E così i ricordi. Nemmeno quelli di una vita comune si sovrappongono perfettamente. Per fortuna lo impedisce la nostra imperfetta natura. E ogni recita, giorno dopo giorno, è diversa. Dipende da quanto ne ricordiamo, dalla memoria che ci inganna, dai soprassalti del cuore. No te puedo comprender, corazón loco. Rimane la solita volontà di andare in scena. Ma rimane davvero? E per cosa, alla fine? Per chi? Per me e per te? Per quelli che vengono “dopo”?
Siamo attori dilettanti, si recita a soggetto, impostando la voce: si sente là in fondo? Non è diverso con la vita. La vita ci frega con il suo affanno. Ci inganna come un conto alla rovescia, una clessidra che nessun Faust può capovolgere ancora. Un regista lo fa ancora per noi.
È come quando il babbo diceva “bel mi’ morì!”. Di più. E così eccoci qui, davanti all’assurdo mistero della morte: una porta socchiusa che si apre chiudendosi o viceversa, ma nessuno torna indietro. Perché indietro rimangono solo memorie e recite. E pensate davvero che della morte ci spaventino l’insondato ed i sogni? Queste cose le scrivono i bardi. No, ci atterriscono il dolore, il male, la perdita finale ed il buio. Non ci sono scene dal chissàddove, né memorie dal chissàquando. Solo sussurri e sospiri, dopo le grida. Non c’è nessun altrove: solo essere e non essere più. E qualcuno che ricordi o dimentichi ciò che è stato e restato di noi.
Quella volta sul ponte, le luci di notte sulla città, una strada di campagna, il cancello di una casa che abbiamo abitato per sempre e di nascosto, così come ci siamo amati. Un argine ed il fiume. Una fabbrica di corde e di tessuti per vivere, quattro tavole del palco di un piccolo teatro per recitare. Un autunno indimenticabile. Una vita insieme. E questo è tutto.
E per tutto questo e di più possiamo solo ringraziare Roberto e Dario e Giovanna e gli altri attori di “Quasi una vita”, scene dal Chissàddove. Grazie per il teatro, la poesia e la vita e, se posso dire, non necessariamente in quest’ordine. Un’opera memorabile e, semplicemente, bella.
Pontedera, 20 Aprile 2018
Marco Celati