Sto qui
di Marco Celati - giovedì 07 settembre 2023 ore 09:00
Mi affaccio a guardare la pioggia, improvvisa, animare le cose: il ciclista incurvarsi in volata, la ragazza con il cane correre al riparo e un passante che si affretta verso casa. Oh, contro il grigio chiaro del cielo come si stagliano i tetti bagnati e si accendono i colori dei palazzi! Le nubi si addensano e un uccello, a larghe ali, vola in controluce, veloce, ed eccone altri che passano a stormo. Settembre, andiamo! Così si abbevera la terra riarsa e il vento, a folate, ne porta l’odore. Le piante delle siepi goccianti oscillano e la tenda del terrazzo sventola come una mite, domestica bandiera. La pioggia graffia leggera l’aria e il rumore soffuso placa la mente. La natura ha di queste meraviglie e un miracolo appare, semplicemente, il mondo.
Qua del resto non ci sono pineti, pini scagliosi-irti, mirti, né coccole aulenti, ginestre fulgenti o tamerici salmastre-arse su cui venisse a piovere un’aulica pioggia, fitta di onomatopee, prosopopee. E nemmeno dipinte ninfee, solo qualche giardino sdrucito e, al più, sfiorite azalee. Qui piove sui palazzi popolari, su famiglie con bassi salari, sui pensionati stremati che, senza pretese, arrancano a fine mese. Piove su noi, bianchi e neri, con i nostri vestimenti leggeri e perfino freschi pensieri. Piove sulle cose, sulle persone, sulla favola bella, come lieta novella, che ieri c’illuse e oggi t’illude. Coglione! Ristrettezze, amarezze, assolute incertezze. Ma è la vita. E la vita è la vita. Come una rosa è una rosa. Fiorisce e sfiorisce. Appassisce e rinasce. E resta una rosa, alla vista e all’odore, nella sostanza e nel nome. Così la vita è la vita. Nasce, muore. Soffre e gioisce. E resta la vita. Diseguale. Di tutti e per tutti.
Che vuoi farci? Che puoi farci? È la vita. E in un giorno di pioggia che, come nuvoli, vengono di questi pensieri, resto qui, affacciato al terrazzo, a guardarla passare. La sera si stende sulle cose e poi sarà notte e chissà se le stelle e magari la luna. A sorprenderci a volte basta poco e sentire che di questo Universo parte facciamo, seppure infinitesima. Infinita, chissà. E siamo un punto impercettibile, sempre meno luminoso, di luce riflessa. Viaggiatori fermi, alla deriva dei cieli e di soli e pianeti e stelle cadenti, scomparse, che splendono ancora, lontane, per la nostra vaghezza. La nostra nave, malcurata e malmessa, è la Terra e le navicelle, lanciate a sondare lo spazio ed il tempo. Interrogare il futuro. Una sfera sospesa, un’arca che fende l’oscuro e la luce, il cosmo che ci avvolge e sospinge. Forse senza fine, forse all’orizzonte degli eventi, dove la luce si spenge e sarà buio e nulla è solo materia oscura. Ma stasera la pioggia ci ravviva e ci riporta il mondo conosciuto. Di tutto e di niente essere sicuri, avere paura. Di tramonti e di albe. E nuovi tramonti e ancora albe. Finché la vita dura.
Per il futuro, disse Calvino pensando, bisogna imparare poesie a memoria perché le poesie, a ripeterle, fanno compagnia e lo sviluppo della memoria -si riferiva alla mente, ma forse non solo- è molto importante. È verissimo: ripetere a memoria “Dora Markus” ogni volta mi salva la vita. E ogni mese la pensione. Poi, aggiungeva, fare calcoli a mano, combattere l’astrattezza del linguaggio che ci viene imposto. Per la matematica sono negato e, si parva licet, potrei umilmente proporre scrivere a mano, anche se non mi riesce più: salto lettere, scarabocchio sgorbi, addio calligrafia! Soffro di disgrafia da rimbambimento senile e overdose digitale. Ma proprio per questo… E infine, concludeva Calvino, dobbiamo pensare che tutto quello che abbiamo può esserci tolto da un momento all’altro, svanire in una nuvola di fumo. Tre talismani per il duemila che, tra le altre lezioni, Calvino ci ha lasciato, con ponderosa leggerezza. Nel duemila ci siamo inoltrati da un po’. Si scrive per ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà. Ma, soprattutto, per ciò che manca.
Marco Celati
Pontedera, Settembre 2023
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P.S. Che poi a me, da ragazzo, a parte il Vate, la Duse e Marina di Pisa o la Versiliana, piaceva “La pioggia nel pineto” di Gabriele D’Annunzio, che 160 anni or sono ebbe i natali. Il principio e la fine li sapevo a memoria. Le “dipinte ninfee” non c’entrano con D’Annunzio, ma con Claude Monet che le raffigurò in 250 dipinti: una fissazione. Stupenda! L’arbitraria relazione deriva dalla reminiscenza di “Ninfee Nere”, intrigante e sorprendente noir di Michel Bussi, letto tempo fa. Altrettanto arbitrario è il rimando finale a Italo Calvino, ma forse no, a 100 anni dalla nascita. Che di solito è ciò che manca a far esistere le parole, lo sosteneva Patrizia Cavalli, una poetessa -ma pare che lei preferisse “una poeta"- da poco scomparsa che scriveva che le sue poesie non cambieranno il mondo, ma c’è sempre una parola, una paroletta da dire, magari per dire che non c’è niente da dire. Studia, bimbo, che testa n’hai, invece lo diceva la mi’ nonna. Ma ne occorreva di più. Di studio e di testa.
“La pioggia nel pineto”, Gabriele D’Annunzio
https://www.libriantichionline.com/divagazioni/gabriele_annunzio_pioggia_pineto_1902
Intervista ad Italo Calvino
https://youtube.com/watch?v=YJezg9DWack&si=CtZOwPLlL5l0VVE9
Poesie di Patrizia Cavalli
https://www.magmamag.it/5-poesie-per-ricordare-patrizia-cavalli/
Marco Celati