Primavera
di Marco Celati - giovedì 11 marzo 2021 ore 13:20
L’albero dai fiori rosa è esploso nel giardino del palazzo di fronte. Risplende chiaro nel paesaggio urbano. Un annuncio di primavera che anticipa il tempo e sfida il freddo dei giorni. Così il sole mostra cosa sia la vita e così la vita si rinnova. Speriamo non incorra nel ritorno del gelo che ne bruci la precoce fioritura. Come il buon proponimento all’insorgere del vero.
Gli alberi stecchiti si rivestono di piccole foglie e vanno a riprendersi il loro colore, accanto ai sempreverdi in attesa e i salici piangenti agitano le sottili chiome al vento. Il mondo non è un idillio, ma a volte gli somiglia.
È bene praticare sobrietà, sfuggire alla consolazione del cibo, al rifugio del bere, non indulgere in altro che non sia la complessa semplicità di esistere.
Sto qui affacciato sulla notte. È acre l’odore che sento, come di concia o di deposito acido. Si sciupa l’aria col decomporsi del suo respiro: un delitto commesso chissà dove, da chissà chi. Si è soli di fronte al male che il bene non compensa.
Mi avessero detto: questi sono amore e dolore, gioventù e vecchiaia e in fondo la morte, questa è la vita, a malincuore, ma avrei scelto di vivere. Avrei scelto l’autunno, fra le stagioni la più congeniale allo spirito che mi riconosco, che mi sono ritrovato e negli anni ho coltivato. Ma ogni primavera, come l’alba della Terra, viene a ricordarci che tutto ci inganna e ci consola, tutto passa e cambia, ogni cosa si rigenera, ognuno risorge finché vive.
Ho sognato una primavera che eravamo al mare, in un golfo dove scogli e sabbie convivevano e giocavamo a far rimbalzare piccoli sassi piatti sul pelo dell’acqua. Chi andava più lontano, chi faceva più balzi. Mi doleva la spalla per i tanti lanci, ma la mia pietra era pesante ed affondava sempre, così vincevi tu con meno forza. La grazia muove le cose in natura, dicevi e sorridevi ed eri bellissima. Ma forse eravamo scesi al fiume, dopo la cascata, nella gora profonda dove la corrente riposa e l’acqua si rispecchia. O forse non eravamo noi, erano altri. I sogni e la vita sono fatti per imbrogliarsi.
Al mare non siamo più stati, ma al fiume dovevamo tornare. Poi è arrivato questo male che ci ha allontanati, ci ha chiusi dentro e non ricordo più cosa è stato, né so che sarà di noi e di tanti, cosa resta dei luoghi che abbiamo conosciuto o volevamo visitare. A volte penso che siamo rimasti dove eravamo e siamo stati bene, forse un attimo felici e allora lascio che m’inganni la memoria, e chiudo gli occhi, torno a quella primavera, a quei giorni, a quell’attimo e mi sento rinascere e rivivere, rivivere ancora.
Pontedera, Marzo 2021
Marco Celati