Questo sito contribuisce alla audience di 
QUI quotidiano online.  
Percorso semplificato Aggiornato alle 18:15 METEO:ABBADIA SAN SALVATORE14°  QuiNews.net
Qui News amiata, Cronaca, Sport, Notizie Locali amiata
venerdì 04 ottobre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Fly me to the moon

di Marco Celati - lunedì 20 novembre 2023 ore 09:00

Fly me to the Moon, let me play among the stars, and let me see what spring is like on, a Jupiter and Mars…

La voce calda di Frank Sinatra risuonava nella stanza. Era la radio-sveglia che lo riscuoteva dal sonno. La spense con un tocco, si tirò su e si guardò in giro, come assente. Dove si trovava? Uno stretto monolocale. Bianco il colore prevalente, le pareti, gli arredi. Nessuna finestra. Che faceva lì? E, soprattutto, chi era? Marco, Libero, Nedo, erano i nomi che ricordava, che gli frullavano in testa. Ma forse nessuno di questi gli corrispondeva. Una porta scorrevole si aprì, entrò un uomo, giovane, indossava una tuta bianca aderente.

⁃ Che fai? Non sei ancora pronto? Ti aspettavo in mensa.

⁃ Che succede, dove mi trovo? Sono andato a dormire e mi sono svegliato qui. Che posto è questo? Chi sei?

⁃ No!!! Ancora le tue amnesie! Sono Astolfo. Indossa la tuta, è appesa alla parete, mangiamo qualcosa e ci mettiamo al lavoro.

⁃ Che lavoro? Che strane tute!

⁃ Forza, siamo in ritardo, ti spiego mentre andiamo. La memoria ti tornerà.

Non riusciva a spiegarsi la situazione, ma sentiva che doveva fare ciò che Astolfo diceva. Era preoccupato, ma si sentiva stranamente leggero. Gli riuscì indossare la tuta e lo seguì. In un’asettica sala mensa mangiarono delle barrette energetiche, accompagnate da una bevanda che sapeva di vitamina. Si avviarono lungo uno stretto corridoio, in fondo a cui si apriva un montacarichi. Salirono. Evidentemente si trovavano nel sottosuolo. La salita durò poco, le porte del montacarichi si schiusero in una stanza con altre tute e caschi e comandi e una porta con un oblò da cui emanava un debole chiarore che doveva provenire dall’esterno.

⁃ Ecco, questa è la camera di decompressione, cambia la tuta, metti il casco e usciamo. Fai attenzione.

⁃ Ma attenzione a che?

⁃ Dai! Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare, lo sai…

Non lo sapeva, però, rassegnato e incuriosito, ubbidì. Astolfo azionò un comando e la porta con uno scatto si aprì. Uscirono. E allora vide!

⁃ Hai capito ora dove siamo? Ecco, davanti a te, nostra signora Luna, rammenti? Vagheremo lungo le sponde dei suoi mari morti, risalendo l’orlo di convulsi crateri…

La voce gli arrivava dall’impianto fonico incorporato nel casco, ma lui era senza parole. Era come sentire Lucrezio dire: io annuncio cose inaudite, res novae. La Luna! Erano astronauti! Contemplava una grande pianura grigia, in fondo a cui si ergevano levigate colline e, lontano, l’albedo delle alture rocciose. Una magnifica desolazione. L’orizzonte sembrava più breve e curvo di quello che siamo abituati a vedere. Sentiva il suo corpo più leggero. Il primo passo lo fece sobbalzando e gli procurò quasi la sensazione del volo e un po’ di nausea, mista ad un senso contrastante di ardimento e insicurezza. Ogni balzo sollevava una polvere cinerea. Nessun impedimento allo spaziare della vista sul paesaggio desolato e affascinante, in quel grigio pallore, contro il nero, stellato, di tutti i mondi e gli universi infiniti. E, bella, di un colore azzurro, ecco la Terra! Non sorge, non tramonta, appare. Provava apprensione ed entusiasmo, il cuore pulsava molto forte. Un segnale vocale lo avvertì di quell’aritmia e gli impose di regolare il respiro, riducendo l’affanno. Qualcuno ci seguiva, teneva a noi: il computer della stazione lunare presidiato da Atena, l’onnisciente androide femmina di ultima generazione, in collegamento costante con la Base dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. L’intelligenza artificiale suppliva alla nostra ignoranza naturale. La Luna! Roba da perdere il senno. O forse no, ritrovarlo.

⁃ Astolfo, da quanto siamo qui? Che dobbiamo fare?

⁃ Da una settimana: sfruttiamo i 14,25 giorni di luce, poi ce ne saranno altrettanti di buio. Un giorno lunare dura 29,5 giorni terrestri. Però noi seguiamo l’orario della Terra per rispettare il nostro ritmo circadiano. Non ti ricordi niente del corso che abbiamo fatto?

⁃ Quando? Dove?

⁃ Andiamo bene! Alla Base Spaziale Europea, prima di partire.

⁃ Accidenti, ma perché hanno scelto un vecchio settantenne rincoglionito per questa missione? Ci vogliono giovani come te.

⁃ Vogliono testare le reazioni alla permanenza lunare degli anziani: è il programma UTE, Universo per la Terza Età.

⁃ E come mi sono comportato?

⁃ Bene, a parte qualche amnesia che deve essere dovuta all’atmosfera pressoché assente, all’esposizione prolungata alle radiazioni solari. O alla mancanza di gravità e alla sua riduzione: indebolisce le ossa, forse anche la memoria.

⁃ Oppure sarà l’Alzheimer… Che facciamo ora?

⁃ Dobbiamo prendere il Rover e andare verso il centro di raccolta del materiale e fare altri prelievi per le analisi.

⁃ Ah, ora ricordo! L’elio-3.

⁃ Esatto, è una fonte energetica, serve per la propulsione: cercano altri giacimenti o diversi modi di estrazione dalla polvere lunare.

L’esplorazione dello spazio, almeno quella lunare, era molto cambiata negli ultimi anni. Dopo gli insuccessi dei lanci tradizionali, costosi e insicuri, NASA, ESA e privati avevano preso una nuova strada: quella degli ascensori spaziali. Una soluzione prospettata, nel lontano 1895, dal fisico russo Constantin Ciolkovskij e su cui la fantascienza era tornata spesso. Come molte cose che si immaginano era diventata realtà. Non è facile a dirsi e ci sono voluti anni di insuccessi e di sperimentazioni. Nel suo percorso orbitale intorno al Sole, la Terra ruota intorno al propio asse ad una velocità maggiore della velocità di rotazione della Luna che orbita intorno a noi, mostrandoci sempre la stessa faccia. Il nostro satellite è a una distanza media di 384.400 chilometri. A 36 mila chilometri circa dall’Equatore è situata l’orbita geostazionaria della Terra, la fascia di Clarke, il visionario scrittore di fantascienza: una posizione fissa, sincrona con il moto di rotazione del pianeta, che può essere collegata con un cavo su cui far scorrere un ascensore. Del resto, come fece il Barone di Münchhausen a uscire dalle sabbie mobili dov’era finito e sprofondava, cavallo e tutto? Tirandosi su per i capelli e sollevandosi in alto, oltre la gravità del mondo! Il principio, alla fine, più o meno è questo. Il Barone sulla Luna c’andò su una palla di cannone, dopo Ariosto, Keplero e prima di Verne, di Offenbach, di H.G. Wells e di Méliès, al tempo dei seleniti. E di Fritz Lang che nel ‘29 sulla Luna ci mandò una donna. Con letteratura, musica, cinema e scienza, l’uomo ha sempre tentato il futuro. Immaginato mondi.

I primi esperimenti dell’ascensore hanno considerato l’orbita geostazionaria come punto di approdo per i viaggi per la Luna e lo spazio: a 36 mila chilometri l’attrazione gravitazionale e la forza centrifuga si equivalgono e si annullano. A quella distanza è stata collocata la Stazione Orbitale e sono stati ancorati gli ascensori. Le differenze rispetto agli elevatori che stanno nei nostri palazzi sono la funzione dei cavi e il contrappeso. Gli ascensori dei palazzi sono tirati da cavi di sostegno e regolati per la salita e la discesa da un contrappeso che, a propria volta e in maniera inversa al moto degli ascensori, sale e scende. Gli ascensori spaziali invece scorrono su e giù per i cavi che sono tenuti dritti da un contrappeso costituito da un satellite, una stazione o un asteroide catturato, che stanno in alto, in orbita. In futuro forse si potrà andare oltre il baricentro dei 36 mila chilometri dell’orbita geostazionaria e poi oltre, fino a 140 mila chilometri di altezza. Sfruttando la forza centrifuga come effetto fionda occorre sempre meno propellente. Così si risparmiano energia, materiali, tempo e si acquista sicurezza.

Tutto questo è stato possibile grazie alla scoperta dei nanotubi di carbonio, un materiale di gran lunga più sottile dell’acciaio, più flessibile e più resistente alla trazione: sono stati utilizzati per realizzare un cavo largo un metro e sottile come un capello. L’altro fattore innovativo fondamentale è stato l’utilizzo della fusione nucleare dell’elio-3, rinvenuto in notevoli quantità sulla Luna. Le navette-ascensore utilizzano questo nuovo propellente relativamente meno costoso dei precedenti e più facilmente trasportabile, una volta compresso. L’elio-3 oltretutto potrebbe soppiantare i combustibili fossili per uso energetico a fini civili, a beneficio del pianeta. E la Luna? Gli studi ci diranno. Era stata costruita una Base Spaziale Terrestre, di partenza e di arrivo, con due cavi e due ascensori, su una piattaforma marina nella fascia dell’Equatore, in una zona temperata dell’Oceano Pacifico. La Base Terrestre era collegata alla Stazione Orbitale che gli ascensori, viaggiando ad una velocità otto volte superiore a quella del suono, raggiungevano in quattro ore circa. Lassù partivano e approdavano gli Shuttle per il trasporto di uomini e merci, per la Luna e viceversa: un viaggio di circa due giorni. Grazie al nuovo propellente.

L’elio-3 è un isotopo leggero, non radioattivo dell'elio. Molto raro sulla Terra, è una potenziale fonte di energia per i reattori a fusione nucleare di seconda generazione. La fusione nucleare degli atomi di elio-3 libera circa la stessa quantità di energia di altre fusioni, ma non rilascia un neutrone. Farebbe quindi diventare meno radioattivo il materiale circostante. È diffuso sulla Luna nello strato superiore delle rocce regolitiche, trasportato dal vento solare nel corso di milioni di anni. La regolite è l’insieme eterogeneo di sedimenti, polvere e frammenti che compongono lo strato più esterno dei pianeti rocciosi e dei corpi celesti. In quale percentuale nella regolite lunare è contenuto l’Elio-3? È presente anche nella polvere? Questo dovevano appurare gli scienziati con la nostra spedizione.

Il Rover era “parcheggiato” davanti alla base sotterranea, che forse bisognerebbe dire sublunare. Ma noi veniamo in pace -o almeno speriamo- dal pianeta Terra -poco o nulla pacifico- e terrestri sono i nostri riferimenti linguistici. Dovremo adattarli allo spazio. La stazione lunare dell’ESA, si trova nella zona nord orientale chiamata Lacus Somniorum, è stata scavata nel sottosuolo, al riparo dalle tempeste solari, sfruttando le irregolarità di quella pianura. Ma gli scienziati e gli ingegneri spaziali stanno già progettando future basi, gonfiabili o fisse, da installare in superficie. Il Rover era carico e già provvisto della necessaria attrezzatura per le trivellazioni, le escavazioni e la raccolta. Partiamo.

Un viaggio di sobbalzi e mal di Luna, perché qui dire mal di mare è improprio. L’acqua esiste, in forma ghiacciata ai poli e molecole di acqua sono intrappolate in minuscole perle di vetro originate dalla collisione dei meteoriti sul suolo lunare; idrogeno e ossigeno provengono dai venti solari e si trovano all’interno di rocce e minerali. In superficie niente. C’è una debole gravità, ma non atmosfera né aria, respiriamo con il generatore di ossigeno ricaricabile, incorporato nella tuta. La tuta è climatizzata intorno ai 22-23 gradi e protegge dagli sbalzi di temperatura che qui salgono a +130 gradi di giorno e scendono a -160 la notte. Siamo quasi in condizione di vuoto. Nessun suono o rumore. Solo un grande silenzio. Velocità e trasmissione del suono dipendono dalla densità del mezzo che attraversa. E nel vuoto il suono non si propaga. Avvertiamo il nostro respiro e i passi, solo attraverso la tuta e il corpo. Una strana sensazione.

Non agiscono sulla Luna forze tettoniche e così non ci sono eruzioni vulcaniche o fenomeni sismici: un satellite pallido e quieto. E la sua forza d'attrazione è troppo debole. Se si esclude il vento solare, che però sono particelle, protoni, elettroni che effluiscono dalla corona solare nello spazio interplanetario, non c’è tempo meteorologico quassù. O quaggiù. Dipende dai punti di vista. Nessun vento come noi lo conosciamo. Le nostre impronte sulla polvere resteranno per sempre. Solo la caduta di un meteorite potrebbe cancellarle. E sentire che il nostro passaggio breve lascerà segni permanenti, ben oltre noi, ci impressiona e ci turba.

La memoria va e viene. Il cervello è andato. Già sulla Terra era così, figuriamoci ritrovarlo sulla Luna! Solo l’aiuto di Astolfo mi ricordava le cose: eravamo già stati nella grande pianura dell’Oceanus Procellarum, l’Oceano delle Tempeste, c’eravamo affacciati al cratere Copernicus a raccogliere materiale. Una faticaccia! Per fortuna la rotta del giorno prevedeva un itinerario più ravvicinato: Mare Serenitatis e Mare Tranquillitatis. Erano pianure non distanti dal Lago dei Sogni dove si trovava la base. Il Rover lunare procedeva spedito: bisognava scendere in direzione Sud-Sud/Ovest, lasciandoci sulla destra i Monti Caucasici, sotto la Valle Alpina, e gli Appennini. Strani questi riferimenti al nostro mondo, assemblati a caso dagli astronomi scopritori e l’uso del latino come lingua universale per le designazioni geografiche ci faceva ritornare ai tempi del Liceo. L’AICC, l’Associazione Italiana di Cultura Classica sarebbe a casa sua, qui sulla Luna. Forse più che sulla Terra, purtroppo.

Arrivammo presto al Mare della Serenità e raccogliemmo la quantità prevista di materiali. La Luna è ricca di ferro e titanio. Tra i campioni geologici prelevati: basalto, una roccia molto dura di origine vulcanica che c’è anche da noi e breccia, una specie di "ghiaia", come il soprannome di un compagno di scuola sulla Terra. Inoltre abbiamo raccolto tre nuovi minerali: l’armacolite, che sembra un disturbo intestinale, ma è un cristallo scuro e prende il nome dalle iniziali degli astronauti Armstrong, Aldrin e Collins, la tranquillitite, dal Mare della Tranquillità, di struttura filiforme e delicata, e la piroxferroite, un silicato. Tutti e tre con classificazione "strunz", da Hugo Strunz, il mineralogista tedesco che studiò questo tipo di minerale. Anche Trapattoni, l’allenatore, aveva un calciatore che si chiamava così, ma non ne parlava bene.

Una volta catalogata la provenienza di polveri e rocce raccolte ci addentrammo nel confinante Mare della Tranquillità. Quante ore erano passate? Cinque forse? Non avevo tenuto il conto del tempo. Iniziammo il lavoro, ma ero stanchissimo, avevo bisogno di riposo, davvero di tranquillità.

⁃ Non ce la faccio, Astolfo, prosegui te, io passo. Lasciami qui.

⁃ Cos’hai? Mi devo preoccupare?

⁃ Tranqui, sono solo stanco.

⁃ Quando parli come un giovane invece mi preoccupo. Sei sicuro?

⁃ Sì, tutto ok. Vai pure avanti, io mi fermo un po’. Scusa. Torni a prendermi dopo.

⁃ Allora vado? In effetti volevo anche affacciarmi sul Mare Fecunditatis. Non è lontano.

⁃ Ma non è previsto nel programma!

⁃ Lo so, ma l’ho promesso alla mia compagna. È una specie di voto. È un po’ che vogliamo avere un bambino. Dice che c’entra la Luna e questo Mare della Fecondità. Ho un paio di calzini da neonato che lei ha fatto a maglia e li lascio là, come offerta alla divinità lunare che presiede alla fertilità e alla vita.

Fra poco torno, disse, tu non muoverti, aspettami qui, mi raccomando. Voleva rispondergli che non lo faceva così superstizioso o scaramantico, così devoto al rito ed al mito per essere un giovane moderno, ma tacque. A volte non importa parlare. Importa più capire, comprendere. Aggiungere al grande silenzio lunare solo il muto riconoscimento del cuore. Si appoggiò ad una roccia e socchiuse gli occhi. Astolfo partì.

La Luna secondo il mito era Artemide. Artemide efesina, di Efeso -nel cui tempio l’oscuro Eraclito rimpiattava i propri Frammenti- sovrintende alla fecondità della natura ed è raffigurata con cento mammelle. Che sono tante! Più delle donne di Lucca che, secondo il mito, di puppe ne avrebbero tre, ma una sarebbe la scarsella con i denari, nascosta in seno. Artemide rappresenta la Luna che, non a caso, presiede ai cicli femminili, nonché alla nascita e crescita delle piante, pioppini compresi, a sentire lo zio Luciano. Ma è anche Lilit, la Luna nera, legata al regno dei morti, spesso identificata con Persefone, la Primavera, rapita da Ade e sua sposa e quindi anche regina degli Inferi. E qui ci si perde. Su Artemide infatti ci sarebbero tante altre cose da dire, ma chissenefrega. Aggiungiamo solo che era figlia di Latona, una titanide -figlia di Titani- di seconda generazione, e di Zeus, nonché sorella gemella di Apollo, padre di Apelle, quello della palla di pelle di pollo che tutti i pesci vennero a galla con quel che ne segue. Apollo era il mito delle missioni lunari e anche Artemide lo era. Le missioni Apollo dopo gli allunaggi -che mio fratello non ci crede e mica solo lui- furono abbandonate. Ora gli USA hanno ripreso la corsa alla conquista della Luna con il programma Artemis.

Invece la nostra missione -del giovane e assennato Astolfo e del sottoscritto, scervellato e anziano astronauta- era Italo-Europea e si chiamava Selene A, per dire che era la prima, senza numerarla che magari porta sfiga, e forse per riprendere quel motivetto anni 60 che faceva: “Selene-ene à, com’è bello stare qua, Selene-ene à, con un salto arrivo là, Selene-ene à, è un mistero non si sa, il peso sulla Luna è la metà della metà”. Che poi in realtà è un sesto di quello della Terra, ma non importa. Lo cantilenava tutte le volte che, per il peso ridotto dalla scarsa forza di gravità, camminava a balzelloni sulla superficie lunare, sollevando sbuffi di polvere grigiastra.

Selene è un’altra divinità greca, nel pantheon delle rappresentazioni della Luna. Figlia di Teia, altra titanide di seconda generazione, e di Iperione, secondo il mito sorella o moglie, o figlia -che per l’amor di dio non è la stessa cosa- di Elio, il Sole, fu poi identificata con Artemide. Era rappresentata su un carro d’argento tirato da buoi bianchi o cavalli o cervi, a piacimento. Nell’età ellenistica fu identificata con Ecate, signora delle ombre, e dagli Egizi con Iside, dea della vita e di un sacco di altre cose. Selene amò il pastore Endimione, da cui avrebbe avuto ben cinquanta figli! E pensare che, secondo Leopardi, la Luna era vergine e intatta. Nelle figurazioni più antiche aveva il disco della Luna in testa e la splendente luce lunare sulle chiome. Perché, sempre secondo la mitologia, la Luna crescente e calante assumeva altre personificazioni divine, che è meglio lasciar perdere.

In realtà la Luna si è formata miliardi di anni fa dallo scontro titanico, di prima generazione, della Terra primordiale con Theia, un antico pianeta che, nello schianto, si fuse con il nostro. I detriti scagliati dall’impatto andarono a formare la Luna. Grandi forze si attraggono e si respingono, si perdono e si scontrano nell’Universo. E la vita ne è una debole imitazione, un evento minore. Il nostro azzurro pianeta vivente e il suo grazioso satellite spento, sono ciò che resta di quella immane distruzione.

Dormì per un po’, appoggiato a quella roccia scagliata da chissà quale eruzione o precipitata da chissà quale mondo. Forse sognò. Poi dalla visiera del casco l’albedo delle creste della Palus Somni, la Palude del Sonno, lo svegliò. Era l’effetto del sole su quelle alture che sui fianchi erano di un colore unico, un marrone chiaro, diverso dal resto del paesaggio lunare. Quanto tempo era trascorso? Che faceva lì? Di nuovo quei vuoti di memoria. Aveva sempre reclamato il diritto all’oblio ed era stato ripagato con la smemoratezza: la sua. Non intendeva esattamente questo. Mai fare troppo i disinvolti con la vita e la natura! Comunque il respiro era regolare e il cuore pulsava lentamente, la pressione era giusta. Forse era l’effetto di quel mare antico, prosciugato, non voleva dire morto. Portava male. Era tranquillo, sereno come quei mari. Sarebbe rimasto lì fino alla fine della vita e del tempo. Canticchiava Fly me to The Moon, il motivo della radio-sveglia che poi era solo una canzone d’amore. Ma era la preferita di Aldrin, il secondo astronauta a scendere sulla Luna diciannove minuti dopo Amstrong, quello del primo passo, piccolo per un uomo, ma grandissimo per tutta l’umanità. Un balzo, come quelli che facevano sulla Luna per camminare e il futuro sembrava euforico e leggero.

Si alzò. Che voleva fare? Prese a camminare, scese verso Sud. Cercava qualcosa, qualcuno? Era faticoso senza il Rover. Vagava, si era perso. Poi, quasi in fondo al mare, gli apparve. Era una targa. "Qui uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna. Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l'umanità". E le tre firme in fila degli astronauti dell’Apollo 11: Neil A. Amstrong, Michael Collins e Edwin E. Aldrin Jr. Sotto, quella del Presidente Richard Nixon. Si ricordò cos’era e si commosse. Come qualche giorno addietro, quando per andare nell’Oceano delle Tempeste, attraversando il Mare Imbrium, si erano fermati davanti al “Fallen Astronaut”. Una piccola scultura in alluminio di otto centimetri e mezzo che rappresenta la figura stilizzata di un astronauta in tuta spaziale, adagiata sulla superficie della Luna durante la missione Apollo 15, nel 1971, in un cratere meteorico situato nella parte sud occidentale del Mare delle Piogge. E almeno piovessero su questo arido e debole satellite, acqua e lacrime! “L’Astronauta Caduto” è l'unico manufatto artistico lasciato dall’uomo sul suolo extraterrestre. Posata accanto alla scultura, c’era una targa metallica con i nomi, in ordine alfabetico, di quattordici astronauti deceduti, otto statunitensi e sei sovietici. Aveva pianto allora sulla memoria di quei caduti, delle sconfitte, come piangeva ora davanti alla testimonianza dell’impresa dell’Apollo 11, di quella vittoria. Il genere umano era dei vinti, come dei vincitori. Se i vinti lo sapessero e i vincitori se lo ricordassero, forse saremmo pure brava gente.

E comunque quelle targhe c’erano, esistevano. Avrebbe voluto dirlo al suo incredulo e amato fratello, disincantato tifoso viola: è tutto vero, gli americani saranno anche americani, ma è vero!Del resto è anche difficile credere che nel ‘69 la Fiorentina abbia vinto lo scudetto, ma è successo davvero! Esiste il passato ed esiste il futuro. È di questo cazzo di eterno presente che bisognerebbe sbarazzarsi. Ci credeva. Ma soprattutto aveva bisogno di crederci, di credere che la storia procede in avanti e che perfino il Medio Evo era stato un secolo buio, ma comunque migliore del precedente e aveva aperto la strada all’età moderna. E allora esiste il progresso e basterebbe renderlo più giusto e alla portata di tutti.

Eppure con tutta la sua filosofia positivista, quell’aspettativa riposta nel genere umano, pensava lasciatemi qui, in questo mare della tranquillità o in quello della serenità, lontano dall’oceano delle tempeste della vita e del mondo. In inglese “live”, vivere, letto al contrario è “evil”, male. Spesso il male di vivere ho incontrato. Forse era il suono di un corno inglese, uno strumento scordato come il cuore. Ritirarsi nella propria anima, non c’è luogo più sicuro e tranquillo, anche se non sempre, né del tutto. Solo. Lontano dagli affanni delle cose e le liti della gente. Dalla tristezza dei condomini. Sulla Luna, non a ricercare il senno, ma la felicità. Aveva perso tutti capelli mentre cercava la felicità, ogni cosa era passata e lui sempre a cercare la felicità. Andare di qua, andare di là, senza trovare la felicità. Allora forse nella solitudine di questi mari estinti e vuoti, dove non puoi nemmeno cercarla la felicità, è qui che lei risiede, solitaria e inesistente. Su questa Luna nata da una collisione, generata dal Caos primordiale, prima del tempo e della storia.

Perché in principio era il Caos, poi furono il Cosmo e Gaia, la Terra, e noi, figli infelici di Gaia. Eris è la divinità del caos. Eris, dea della discordia, sorella di Ares, signore della guerra. Eris, Ares ed Eros, che accostamenti fonetici, e non solo! La discordia, la guerra e l’amore che spesso si attirano, si generano, si contrappongono. Corrono i secoli e i nostri destini. Il caos è il destino, che sconvolge l’ordine e ci conduce, creando nuovo ordine e poi altro caos e ancora, e ancora. E questo avvicendarsi di caos e di ordine genera il movimento continuo che ci spinge, ci determina, ci travolge. E si chiama vita.

Così diceva tra sé, procedendo a salti e sforzandosi di ricordare. Che doveva fare, ora? Dove andare? Incontro a chi? Ricordare viene dal cuore? Perché lì, più che nella testa, la memoria risiede. E solo il suo cuore aveva memoria di sé. Avrebbe dovuto riaccordarlo e ricordarlo. Ma ormai era tardi e si era perso. Le riserve di energia e di ossigeno della tuta stavano finendo. Avrebbero dovuto essere ricaricate, sul Rover o alla Base. Sentiva i comandi che giungevano da Atena, dalla Stazione Lunare. Però non realizzava bene. Il vuoto della memoria e il vuoto lunare si sovrapponevano, lo tiravano a sé: si stava esaurendo. Fa paura il vuoto, orrore addirittura. Il vuoto dell’anima, dell’esistenza, del cuore e della mente. Fa paura il vuoto. Il vuoto è assenza, privazione, scomparsa. Il vuoto non è quando non vedi, è quando non c’è che mancanza. Quando siamo notte e nulla. C’è qualcosa dopo? L’oceano si estende oltre l’orizzonte del marinaio. E allora c’è altro, dopo la vita? Altro mondo di là dal mondo, altro spazio oltre il nostro universo osservabile, ma forse è soltanto altro oceano. Era stata inviata una localizzazione, però si era allontanato parecchio dal punto di ritrovo, seguendo il filo dei suoi pensieri. Gravi, ma senza gravità: un contrasto che sarebbe piaciuto a Flaiano. Respirava sempre più a fatica, si sdraiò a terra e pensava che non era Terra, era Luna. La Terra, ne vedeva metà sullo sfondo buio, finché tutto fu buio, tutto si spense. Non amava la vita, e non la rivide tutta, come dicono avvenga, la sofferenza, la fame d’aria erano spaventose, insopportabili, ma alla fine ebbe il tempo di pensare: peccato!

Nella stazione lunare sotterranea, nella stanza medica, l’androide Atena era al lavoro, collegava elettrodi e sensori al lettino con il modulo di sopravvivenza. Il segnale del cardiografo era debolissimo, le scariche elettriche e la compressione e decompressione meccanica proseguivano con il ritmo programmato dal computer. Il corpo non reagiva, una luce violetta scorreva a fasi alterne dentro il modulo. L’elettroencefalogramma mostrava ancora segni definibili come vitali, ma potevano essere solo effetti di risonanza. Atena impostò tutti gli automatismi del controllo da remoto e uscì a riferire ad Astolfo. Grazie al geolocalizzatore l’avevano ripescato in fondo al Mare Tranquillitatis, ormai privo di sensi. Astolfo l’aveva caricato sul Rover e portato alla base che non dava più segni di vita. Disperavano di salvarlo. Dopo le cure di estrema urgenza, l’avevano attaccato alle macchine. Ora era un rumore di fondo, un brusio interrotto da bip, un campo debole di forze, un groviglio ordinato di cavi, di trasfusioni e di flebo. Dormiva, immerso in un sonno profondo.

Astolfo veniva nelle pause a guardarlo dal vetro. Pensava che i vecchi devono essere vecchi, che oggi si richiede più coraggio che tranquillità per stare al mondo. Però gli dispiaceva, faceva simpatia quell’anziano smemorato e lunatico. Ma non privo di anima e raziocinio. In un momento di lucidità durante le esplorazioni si era confidato, ne avevano parlato. Quali erano i punti negativi di tutte queste magnifiche sorti e progressive? Il vecchio parlava così, come un dizionario, un’antologia, un almanacco. E poi si lasciava andare a citazioni musicali, diceva che ai suoi tempi c’era un complesso sonoro di buontemponi, seppur buoni musicisti, che si chiamavano “Elio e le storie tese” e rideva da solo. L’elio-3 è un isotopo la cui fusione non produce una reazione radioattiva, tuttavia, le temperature richieste dalla fusione dell'elio-3 sono molto più alte rispetto alle fusioni standard e probabilmente il processo può provocare altre reazioni nucleari che possono rendere radioattivo il materiale circostante. Inoltre l’elio-3 è diffuso sulla Luna nello strato superiore delle rocce regolitiche dove è stato incluso dal vento solare, nel corso di miliardi di anni. Tutto è portato dal cosmo. Tutti noi, tutti questi mondi, dal più grande al più piccolo degli elementi, siamo fatti della solita materia delle stelle e dei sogni, diceva e faceva il poeta. La questione però è appurare quanto ce n’è di elio-3, sulla Luna. Oggi si ritiene sia contenuto nelle rocce lunari in quantità di 0,01 parti per milione. E non è poco, anzi. Però se pensiamo al suo uso energetico a scopi civili e, purtroppo, militari, nonché per i viaggi spaziali, quante parti del nostro satellite dobbiamo distruggere per l’estrazione dell’Elio-3? E quanto lo indeboliremo, saccheggiandolo, variandone la consistenza? La Luna rende stabile l’asse di rotazione della Terra e, conseguentemente, l’alternarsi delle stagioni. Dopo le alterazioni climatiche, rischiamo di modificare anche questo equilibrio? Addirittura a tal punto da far allontanare la Luna da noi o, al contrario, facendola rientrare nel campo di attrazione terrestre? Il titanico impatto fra Theia e la Terra originò il nostro pianeta e il suo satellite, un nuovo scontro li distruggerebbe entrambi. Oggi sulla Luna tutti giù a scavare: gli americani, i russi, i cinesi, gli europei, gli israeliani, gli indiani, i giappponesi. Fra poco gli italiani, i fascisti sono già stati su Marte. Inoltre, se tutti quanti passeranno alla tecnologia degli ascensori spaziali, con centinaia di cavi tesi nello spazio, anche la sicurezza dei voli diminuirà.

Ma Astolfo gli aveva ribattuto che gli Stati Uniti del mondo e, sopratutto, quelli disuniti che sono i più, avrebbero saputo stabilire regole e darsi limiti. Perché, è vero, non è in dubbio il progresso, è in dubbio la nostra sopravvivenza. Ma, senza essere apocalittici e catastrofisti, tutto sta a capire quanto il progresso può farci perdere e quanto crescere e come potrà farci vivere meglio, anziché distruggerci. Noi, Terra, Luna, natura e speci viventi, il mondo che conosciamo e quello che vogliamo andare a conoscere, superando i nostri bisogni, i conflitti, le disparità e seguendo il nostro gene che è quello di sapere e di cercare. Queste cose, Astolfo, con più fede che senno, gli aveva risposto.

Quanto al nostro anziano astronauta, non sappiamo se si sia mai svegliato o no, se sia rimasto dormiente. Questo è un racconto di fantascienza, mica una storia. Lui si ricorda solo che alla fine della giornata si era coricato nel giaciglio del modulo lunare. Era stanco e, anche senza l’abituale compressa dì melatonina, subito si era addormentato. Aveva sognato che la Terra stava tramontando e pensava, com’è possibile? E poi invece si trovava a casa, sul suo pianeta, era notte e guardava desideroso la Luna. E la Luna era Alda Merini che gli diceva: No, non tornare, avrei crudo sgomento/ e mi toglieresti a questi dolci sogni/ o forse troveresti che disfatta/ è la mia carne e la mia croce viva,/ non tornare a vedermi, sono in pace/ con le sfere assolute dellamore/ e mi giaccio scoperta e solitaria/ come una rosa sfatta nel sereno”. Si svegliò, sentì il suo peso, era di nuovo sulla Terra. Nell’inconscio tutto è relativo, spazio e tempo non esistono, si curvano, si confondono e si annullano, come i sogni che vaniscono al mattino.

Marco Celati

Pontedera, Novembre 2023

_______________________

Il racconto contiene, senza meritarle, citazioni evidenti e meno: il male di vivere di Montale, mari morti e convulsi crateri lunari sono descritti in “Levania”, un componimento poetico di Sergio Solmi e che siamo notte e nulla lo dice Borges in una poesia dedicata ad Hilario Ascásubi, il poeta guerriero argentino. Ci sono inoltre tributi vari, tra scienza, letteratura cinema e musica, a: Giovanni Keplero “Somnium”, Arthur C. ClarkeLe fontane del Paradiso”, Frank Schätzing “Limit”, Damien Chazelle “First man”, Corrado Guzzanti e Igor Skofic “Fascisti su Marte”, Domenico Modugno “Selene”, Giovanni Truppi “La felicità” e, naturalmente, “Fly me to the Moon” cantata da Frank Sinatra.

https://youtu.be/ZEcqHA7dbwM“Fly me to the Moon”

https://youtu.be/6T3e_56CEYM “Selene”

https://youtu.be/nLfAsGHGrXo“La Felicità”

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati