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martedì 19 marzo 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

CABO VERDE - Prima puntata

di Marco Celati - lunedì 27 marzo 2017 ore 08:00

Stagione imprecisata, temperatura media intorno ai 25 gradi, anno terzo della pensione, terrazzino con vista sull'Atlantico, città di Mindelo, isola di São Vicente, arcipelago di Capo Verde. Nelle isole di Sopravento, che qui si dice Barlavento, sono arrivati gli Alisei e viene una voglia incontenibile di fare un cazzo. Un uomo sta seduto su una sdraio, ascolta la musica da un tablet: è una canzone, forse una morna o forse una coladeira, non lo sa di preciso, si chiama "Tiempo y Silencio". La voce calda è di Césaria Évora, l'album è "São Vicente di longe". Via via segna qualcosa sul tablet. Qualcosa, non lo sa di preciso. Sul tablet c'è scritto non ci sono altri eventi pro memoria o sveglie, lui scrive confermo, niente di nuovo, tutto bene. Poi si appunta la lista della spesa: una prima stesura, bozza non corretta. Si dimentica le cose, per questo deve scriverle continuamente. "Vento di mar..." Ora la canzone è diventata "Crepuscolar Solidao". Prima che arrivi "Sodade" e che sia troppo tardi per uscire, per la malinconia, per tutto, spegne il tablet, si alza. Non se ne va subito, ha bisogno di fare decompressione e si appoggia sui gomiti alla ringhiera del terrazzo, guarda l'Oceano, il sole che si abbassa, sente il vento in faccia, respira, pensa questa sì che è vita, rientra in casa. Ora può uscire.

Da quanto si trova nell'isola? Non lo sa di preciso, un anno quasi. Da quando era andato in pensione, prima aveva fatto alcuni viaggi nell'arcipelago della repubblica capoverdiana. Voleva staccare un po' con la sua vita super impegnata, fuggire, pur in ritardo dalla suggestione del desiderio di fuga e dall'evocazione del piacere di non esserci, sopraggiunti dopo l'epoca della partecipazione. E parecchio in ritardo sul suo di tempo, inteso come anni di vita. Il Festival "Sete Sois Sete Luas", un ente che da anni si occupa di scambi culturali con i paesi di lingua latina o lusofona gli aveva proposto spesso di andare a Capo Verde, insieme al seguito istituzionale. C'era un "Centrum" gemellato laggiù. Aveva sempre declinato l'offerta: non conosco la lingua, non posso, come faccio, se manco chissà cosa capita. Gli sembrava di essere necessario. Di più: insostituibile. Eppure il mondo non si sarebbe certo fermato, sarebbe andato avanti ugualmente, forse anche meglio, senza di lui. Ora se ne rendeva conto e voleva capire se era ancora in tempo. Non è mai troppo tardi, si era detto per farsi coraggio. Aveva portato il suo gatto al figlio: ormai era un uomo, aveva la sua casa, la sua donna e gli piacevano i gatti. Poi aveva prenotato un volo di linea per l'isola di Sal. La valigia leggera di un viaggiatore, un giorno intero per decidere cosa non portare, sei ore di volo ed era fatta.

Aveva trovato una "pousada", una pensione vicino al mare. Dove può andare un pensionato, se non in una pensione? Pizza napoli, gelateria veneta, parlavano italiano, tutti compatrioti. L'isola è piena di rumori, non temere, diceva Shakespeare nella Tempesta; l'isola di Sal era piena di italiani da far paura, sembrava di essere a Rimini. La differenza era costituita dalle spiagge interminabili, bianche o dorate, il mare cobalto e profondo, la natura di una bellezza atterrente, il paesaggio lunare della salina, l'orizzonte infinito. Meglio che a Rimini. Gli Alisei soffiano costanti sull'isola e consentono di sopportare il sole, il caldo e l'aridità del clima. Pensare che si era in Novembre! Si rimaneva senza fiato davanti al paesaggio, avvertivi un senso di lontananza e di isolamento. Ti prendeva il cuore, ne rallentava il battito e allentava la vita, la memoria, la coscienza di sé. Allentava anche il corpo, a dirla tutta, ma a questo pose rimedio con qualche farmaco che si era portato e facendo più attenzione a come e cosa mangiava e beveva. Ammise che non era stata una buona idea mangiare pomodori e insalata, lavati con acqua corrente, non bollita. Si cospargeva, come non mai, di creme solari, terrorizzato da quel sole abbacinante che sorgeva e tramontava e il giorno, senza soluzioni di continuità, incombeva sull'isola, rare le nuvole a farne riparo.

Una bionda e procace italiana, cinquant'anni a occhio e croce, ma ben portati, giornalista diocenescampi, l'aveva avvicinato un giorno in spiaggia. Gli parlava della vita, della morte e delle tasse, della sua fuga dall'Italia in crisi. Pochi anni fa. Qui aveva anche trovato l'amore: un emiliano, ingegnere diocisalvi, che lavorava come costruttore con un gruppo, italiano anch'esso e padrone, a suo dire, di mezza isola. Costruivano alberghi, lavoravano nel settore del turismo e delle infrastrutture che avrebbero trasformato la "Ilha". Così disse lei. In peggio di sicuro, pensò lui. Alla fine gli aveva proposto un vero affare: la gestione di alcune lavanderie in comproprietà con lei, il suo partner e una creola isolana. Ora uno va a Capo Verde o per fare affari del cazzo o per fare un cazzo di niente. E lui non coltivava affatto l'ansia della prima prospettiva, semmai l'illusione della seconda. Così declinò cortesemente l'offerta e anche le attenzioni della signora si fecero meno insistenti e più rade. Quanti giorni era rimasto? Non lo sapeva di preciso. Era ora di tornare.

Rientrato in patria, stette un po' a casa, sulla collina. Si affacciava al terrazzo, ma l'orizzonte gli appariva stretto, le persone e le cose gli sembravano ingombranti, inutili e fastidiosi i richiami delle urgenze. Usciva poco, pochi amici, che ci stava più a fare qui? Così chiamò il figlio: scusa, riprendi il gatto, riparto. Tutta vita o nessuna. Quella fu la volta di Boa Vista, l'isola più vicina all'Africa. Più vicina si fa per dire: 455 km ad ovest dalla costa africana! Ci sono l'aeroporto internazionale e un mare di problemi locali. Una baraccopoli; le persone campano in media con circa 30 mila scudi capoverdiani, quasi 300 euro al mese e non ci si costruisce una casa con lo sviluppo del turismo e la crescita degli standard economici sul modello europeo. Anche i rifiuti sono un guaio: c'è una sola discarica a cielo aperto. Ci sono tre strade asfaltate, le scuole, l'ospedale, il porto nella capitale Sal Rei. L'aeroporto è solo per i passeggeri e non per le merci, gli approvvigionamenti arrivano via mare. Quando il mare non è cattivo. Gli isolani un tempo erano agricoltori, poi la desertificazione del suolo li ha ridotti a raccoglitori di sale -attività ormai residua- e produttori di datteri. Ci sono le tartarughe Caretta caretta che si riproducono sulle spiagge incontaminate e le megattere che si esibiscono al largo. E le dune desertiche: vai all'immensa spiaggia di Chaves e ti senti quello che sei, un punto, niente nella maestosità della natura. Il cielo, la sabbia, il mare a perdita d'occhio. E ti sembra che tutto sia fermo e tutto scorra: le isole, migrabonde nell'Oceano e te con loro, nella deriva dei continenti, dei mondi e del tempo. E ti chiedi se tutto questo viaggiare stia assecondando o contrastando il giramento universale dei pianeti e dei coglioni. Intesi come testicoli, con rispetto parlando.

Poi era stato alla Praia da Boa Esperança, a Nord dell'isola, un'ora e mezzo di cammino. E, in mezzo al niente, in riva al mare, sulla spiaggia bianchissima, c'era quel relitto arenato, un ammasso di ferraglia che il mare lambiva, tormentava, assaliva. Un naufragio risalente al 1968, il capitano doveva essere ubriaco, un "inchino" antesignano, forse un guasto o chissà. L'equipaggio era sceso a piedi, dileguandosi, gli abitanti si erano appropriati del carico, saccheggiandola e la nave "Cabo Santa Maria" era rimasta così da allora, incagliata sulla battigia, riversa su un fianco. Le onde poderose di mille burrasche l'hanno spezzata, il vento e il salmastro ne hanno corroso le strutture, la ruggine l'ha ricoperta. Una nave possente, venuta ad adagiarsi, quasi stanca, su queste spiagge e divenuta una memorabile attrazione. Il monumento all'abbandono, un monito ai naviganti, la rappresentazione del naufragio di tante vite, delle nostre esistenze, di ciò che era, di ciò che resta e sarà. Con un misto di timore e rispetto, fece il bagno in quel mare cristallino, verde e azzurro, e rimase a lungo in contemplazione a chiedersi se anche lui era così, un relitto, un pensionato spiaggiato. Lo spettacolo era unico ed evocativo, sentiva soffiare gli Alisei e nel cuore una dolce e struggente malinconia, qualcosa della "saudade" che portano con sé i popoli lusitani, ovunque nel mondo e qui chiamano "sodade", i creoli di Capo Verde. Gente formata dall'incrocio di rotte e di razze: schiavi africani e portoghesi europei. Gente migliore, dolce e accogliente che nel sangue conserva ancora la musica che la consolava e la danza che la divertiva. E un sentimento di intima e quieta armonia con la terra, che predispone all'accoglienza e alla condivisione, che definiscono "morabeza": un atteggiamento naturale di fronte alla vita, qualcosa che si sente e non si può tradurre con un termine preciso. Come i senegalesi che vengono qui e stanno di là dal mare, sulla terraferma e chiamano "teranga", l'accoglienza della popolazione, una parola che non significa semplicemente "ospitalità". È molto di più: accoglienza, rispetto, attenzione, gentilezza, allegria ed il piacere di ricevere un ospite. Come in Europa, più o meno. Era ora di tornare di nuovo a casa.

Marco Celati

Pontedera, 10 Marzo 2017

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Chi sarà il misterioso pensionato che si trova, a pensione, a Capo Verde? Lo conosciamo? Forse sì, indizi ci sono per dire chi è. O forse no, non si sa di preciso. Nessuno si conosce mai fino in fondo e la vita riserva sempre sorprese, a volte davvero sorprendenti. Lo scopriremo comunque nella prossima puntata di "Cabo Verde".

Marco Celati

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