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lunedì 07 ottobre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Malcom X

di Marco Celati - domenica 25 settembre 2016 ore 15:26

La pioggia lava la mente. Il piacere è starsene alla finestra a guardare e sentirsi al sicuro, sotto un tetto di travi di legno. La pioggia battente annulla i pensieri e i primi scrosci autunnali, di quest'autunno tardivo, rinfrescano il clima. Ricordano che il ciclo ininterrotto delle stagioni prosegue il suo corso. La nostra vita ne fa parte, in esso è compresa. E noi siamo la nuvola, la pioggia, l'acqua che scorre nei fossi, nei canali, nel fiume, lungo la pianura, verso il mare lontano che si fa spuma e di nuovo nuvola e acqua. Ancora e per sempre. Bisogna crederci e sentirsi natura. Mi distenderei volentieri sulla campagna toscana, nel pioppeto odoroso di funghi, vicino alla casa di mattoni e chiederei perdono e riposo. Una tregua nel tumulto degli anni, nel disordine che conduce la vita e chissà dove porta.

La natura è un gatto nero. I figli, per il mio compleanno, me l'hanno regalato. Che dio li benedica! Era in una scatola. Una vera sorpresa! Sia per il compleanno che non era né il giorno, né il mese giusto, sia per il regalo in sé che non era un oggetto, ma un essere animato, dotato di peli e di artigli. Il gattino, di circa tre mesi, ha una pettorina bianca a forma di "x". E, siccome è nero, è stato battezzato "Malcom X". Difende infatti la sua razza e attacca l'uomo bianco, graffiandogli mani e piedi. È un ribelle, fa il diavolo a quattro, butta all'aria l'oggettistica varia, sparsa per la casa e contribuisce in senso letterale al suo definitivo spargimento. Poi fa le fusa e le paste con le zampe anteriori, in memoria permanente del recente allattamento materno, e diventa affettuoso. A volte si accoccola nel bidè: non deve essere una cosa tanto igienica e non deve essere un gatto francese. Insomma un'adorabile canaglia, selvatico quanto il padrone a cui è stato donato. Opportunista come la sua specie. Non preciso se quella umana o felina.

Babbo, ma, onestamente, ce la fai a tenerlo o è un problema? Mi hanno chiesto. Onestamente ci provo, ho risposto. Tempo fa ne ho tenuti di gatti, ma diciamo che non ho più l'elasticità mentale degli anni più giovani, semmai l'ho avuta. Né ho più la crudele disinvoltura della gioventù. E mi son fatto l'idea, forse sbagliata, che l'amore per gli animali sia un surrogato dell'amore carente verso gli uomini o la loro discendenza. Un amore un po' egoista, oltretutto. Queste povere bestie le rinchiudiamo in case anguste, sottraendole alla loro selvatica natura, ai loro ampi territori di caccia e di conquista, e le inseriamo forzatamente nelle nostre limitate dimensioni domestiche. Ce ne andiamo al lavoro la mattina per tornare la sera e le lasciamo da sole tutto il giorno. Poi le sterilizziamo. Che è un modo elegante per dire che castriamo i maschi e asportiamo le ovaie alle femmine. Precludiamo loro l'amore e le consegnamo alla solitudine. Le facciamo diventare simili a noi, le bestie dominanti. Le eleggiamo al ruolo inconsapevole di "pet therapy" per i nostri malesseri, le nostre insufficienze esistenziali. C'ero già passato e pensavo di aver chiuso. Ma la bestiola è un simpatico rompicoglioni e fa compagnia. Quando e come gli pare. Come i gatti. Come noi. Onestamente ci provo, se non ce la faccio chiamo il "soccorso felino".

Quando ero piccolo la nonna aveva preso in casa un gatto. "Frugolino" si chiamava, detto "Nino". Si stava al Villaggio Piaggio, al piano terra. La casa sul retro aveva un terrazzo basso, dalle cui inferriate il gatto entrava ed usciva. Andava e veniva liberamente. Tornava per i pasti che non erano croccantini scelti o scatolette prelibate, come si usano adesso: erano gli avanzi dei pasti, quando avanzavano. Il gatto, si sa, si affeziona alla casa e non alle persone, inutile dirgli quello che più tardi e per troppo poco tempo, più da grandi, poté dirci nostra madre: questa casa non è un albergo! Ritornava a suo piacimento, segnato dalle battaglie di amore e di sesso con i rivali per le micie del quartiere. Zuffe di cui si udivano spesso, di sera o di notte, furiosi e lamentosi miagolii. A volte si beccava qualche rogna e chissà quanti parassiti e si grattava a sangue. Ma non c'erano vaccini e il veterinario era un lusso dei gatti borghesi. Eppure era così allora, perché così erano anche le nostre esistenze popolari negli anni '50. In tempo di guerra qualcuno se li mangiava pure, come il coniglio. Ma chissà se i gatti potessero parlare, che direbbero. Che andava meglio quando andava peggio? E chi può dire se è proprio vero, sia per i felini che per gli umani.

Crebbi con fratelli e sorella e, tornati di casa alla Bellaria, si prese un siamese scodato. Matto e cattivo. Lo so che non si dovrebbe dire, che non è corretto applicare i nostri criteri di giudizio agli animali, però si buttava regolarmente giù dal secondo piano, saliva sul pino davanti casa e non sapeva più scendere, miagolava a squarciagola e graffiava chiunque, munito di scala, cercasse di riprenderlo per aiutarlo a venir giù. Come lo vogliamo chiamare? Selvatico? Stronzo? Dicono che le bestie di razza, che non sono meticce e si incrociano solo tra loro, abbiano di questi exploit perché riproducono pregi e difetti e li moltiplicano in purezza. Come noi, del resto.

Mi fidanzai e avemmo "Sussy" un gatto di casa. Invecchiò, perse denti. Durò più del fidanzamento, ma meno del matrimonio. Finì travolto da un pirata della strada. E quando tornai da solo, in età matura, diciamo così, con una benevolenza verso me stesso che nei giorni migliori mi concedo, decisi di provare la compagnia di una gatta. Andavo a fare il bagno al laghetto di Calcinaia. Allora si poteva. Traversavo il lago a nuoto, andata e ritorno: un mare a portata di mano, da povera gente, ma bei tempi. Mentre mi asciugavo al sole sull'erba, un giorno la vidi: una gattina piccola e nera, dal pelo lungo, che stava con altri gatti. Fu amore a prima vista, la presi con me. Si chiamava "Sissy", come la principessa. Aveva un portamento nobiliare. Di cognome faceva "Del Lago": un toponimo a rimarcare la sua discendenza. Però, quando andava in calore, la notte i suoi miagolii tenevano sveglio me e tutto il casamento. D'altra parte un richiamo d'amore è un richiamo d'amore, lo dissi alla vicina. Ma alla fine cedetti: il mio amore per lei soffocò il suo e la feci operare dal veterinario. Per una settimana non fu possibile avvicinarla, poi il dolore passò, la gatta si calmò e ingrassò quieta con me. La curai, non le mancarono pasti e moine. Solo i suoi istinti, la sua vera natura. Siamo stati molti anni insieme e poi ci siamo persi nelle separazioni successive che segnano la vita. Un giorno se ne andò e non fece più ritorno. Sarà forse tornata al suo lago.

"Malcom X" mi guarda. Pronuncio il suo nome, ma non sembra capire che lo chiamo. Provo a carezzarlo, si fa lisciare il pelo sul dorso e rizza la coda, forse per far capire che lì è finito il suo essere gatto. Provo a prenderlo in collo, ma scappa, travolgendo senza riguardo le cose che incontra. Poi torna, si mette a giocare con un topo finto che artiglia e che morde. Dopo un po' si avvicina e miagola, chiede il pasto. Croccantini vitaminici o carne scelta per gattini. Sono già stato dal veterinario per il vaccino di richiamo. Non lo passa la mutua. La lettiera è di quelle migliori per attutire gli odori. I gatti sono bestie pulite: ricoprono i loro bisogni e i granelli di silicio naturale te li ritrovi sotto i piedi, dovunque. Spazzare, spazzare. Sono entrato anch'io nella schiera di coloro che producono più rifiuto indifferenziato per smaltire la lettiera: chi inquina paga. Guardo la tele e "X", così ho deciso di chiamarlo per abbreviare, si piazza davanti allo schermo e poi gira dietro per cercare di capire da dove vengono tutte quelle figure. Inciampa nei fili e stacca quello dell'antenna. Impreco, lo prendo, lo tengo forzato in collo e lui prova a cavarmi un occhio. Giustamente. Non sarà un piccolo di pantera? Alla fine decide che basta e mi si accovaccia accanto, facendo le fusa.

Che farò quando sarà più adulto, fra qualche mese, quando segnerà di piscio odoroso la casa, il suo territorio, per attirare le gatte? Le gatte non ci sono, ma l'istinto è istinto. Meglio non pensarci. E capisco che l'ho presa io una bella gatta da pelare! Proprio così. Anche se lui è un gatto e non una gatta, ma ho letto che "gatto" andrebbe coniugato al femminile, come si dice per "la tigre" e "la pantera", anche quando sono maschi. Come i francesi dicono del mare: la mer, femminile. Come madre, perché dal mare, dalle acque, tutto è nato. Il gatto, in effetti, nella sua movenza felina ha un'essenza, una leggerezza e una grazia femminile. E io, forse perché mi ricordo della Sissy o forse per rimbambimento senile, lo chiamo indifferentemente micia o micio. Gli creerò mica problemi d'identità e disturbi della personalità? Agitato è già agitato di suo. Micio gatto, micio gatto, combina guai! E, come se non bastasse, la Chiarina mi ha regalato il libro "D'estate i gatti si annoiano". Allora ditelo! Intanto fuori ha smesso di piovere, fra le nubi appare e scompare un pallido sole.

Treggiaia, 20 Settembre 2016

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati